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Il segmento testuale Il LA PENNA è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 9Analitici , di cui in selezione 1 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]religiosa sempre insoddisfatto e sempre perdurante, eppure non toccato da alcun dubbio di fronte alle atrocità staliniane, nemmeno quando esse, troppo tardi e troppo poco, furono sconfessate dal comunismo « ufficiale »; ostile all'aridità del « filologismo », eppure, quando si dedicava a lavori filologici, seguace proprio di una filologia « arida », senza ricerca di connessioni con la storia politicoculturale e la critica letteraria. Giustamente il La Penna ritiene (p. 93 s.) che queste ed altre contraddizioni, se devono essere francamente messe in rilievo e criticate, non per questo inducano a un giudizio svalutativo su Marchesi:
Ci sono personalità coerenti, in cui la coerenza è facilitata dalla povertà spirituale; ce ne sono altre ricche e incoerenti, in cui l'incoerenza è aggravata dalla ricchezza stessa: Marchesi è tra queste ultime [...] Sarebbe strano che noi dovessimo ricorrere a forzature unitarie proprio nell'interpretare Marchesi, che fu cosí attento alle inquietudini, alle incoerenze, alle contraddizioni dell'animo umano. Neppure ne[...]

[...]ano » a cui abbiamo accennato poc'anzi. In Marchesi il fatto poetico ha i propri antecedenti solo nell'esperienza sentimentale, nella psicologia e nella biografia del poeta, non nella lettura di poeti precedenti, nella tradizione culturale a cui il poeta appartiene (La Penna, pp. 37, 55 s., 73 s., 93).
Nella prolusione padovana del 1923 Filologia e filologismo (in Scritti minori, Firenze 1978, rii, p. 1233 ss.: d'ora innanzi indicherò, seguendo il La Penna, questa silloge con SM), al cui esame il La Penna dedica il cap. viii, uno dei piú penetranti del suo libro, Marchesi conduce contro lo « studio delle
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fonti » una polemica che, in ciò che ha di giusto, è una battaglia di retroguardia, perché critica un metodo di scomposizione meccanica dell'opera d'arte e di riduzione del poeta a imitatore passivo dei suoi antecessori, che non era stato proprio nemmeno di tutta la filologia positivistica (anche il positivismo aveva avuto, nelle scienze naturali e umane piú ancora che nella filosofia, i suoi uomini d'ingegno e di genio) e che, comunque, era stato già[...]

[...]seconde, che dimostrerebbero un effettivo rapporto di dipendenza (SM, in, p. 1234 s.; tale distinzione era stata enunciata anche in scritti precedenti, cfr. per es. SM, III, p. 1113: « sono solo le affinità formali gl'indizi imponenti delle derivazioni »). Ma è uno spunto che rimane inutilizzato o male utilizzato: lo studio del 1908 sulle fonti del Tieste di Seneca (SM, II, p. 493 ss.) prende in esame, sí, analogie di espressione, ma giustamente il La Penna (p. 23) lo giudica « poco piú che un elenco arido »; migliore è qualche altra ricerca (La Penna, p. 23 s.); ma Marchesi, critico pur non privo di senso stilistico, era piú capace di caratterizzare globalmente lo stile di uno scrittore che di analizzarlo puntualmente (egli cita quasi sempre passi tradotti, non testi in latino; e quanto anche la piú bella traduzione sia inadeguata a sostituire l'interpretazione non fu mai del tutto chiaro a lui, mentre fu chiaro, fin da Filologia e storia, a Giorgio Pasquali)1; e quindi era poco sensibile a quel rapporto di zêlos, di « citazioneemulazione », ch[...]

[...]igore d'ingegno » che essa rivela: Marchesi tende addirittura a forzarne il carattere antierudito, ad affermare che si tratta di « un'opera, piú che critica, artistica », il che è conforme piú agli ideali di Marchesi stesso che alle intenzioni e alla realtà del volume del Leo. Anche in Filologia e filologismo (SM, III, p. 1241), fra tante riserve e censure riguardo alla filologia tedesca, spicca un alto riconoscimento del valore del Leo. Osserva il La Penna (p. 55) che questa « è un'eccezione che non incide troppo sull'atteggiamento generale », ed è vero. Ma su un punto la lettura del Leo influí positivamente su Marchesi: sulla valutazione di Plauto, poeta di grande originalità, ma non popolaresco in senso immediato e triviale, bensí dotato di cultura, di raffinato senso ritmico, esprimentesi in una lingua piena di espressività e di forza vitale, ma non « volgare ». Si confronti l'accenno a Plauto nella recensione già citata al Leo (SM, in, p.. 1108) con ciò che nella Storia della letteratura latina (i`, p. 75) si dice di Plauto poeta « ellenist[...]

[...]In tutti i suoi scritti Marchesi ha profuso dichiarazioni di sfiducia nel potere, che la filosofia e la scienza si arrogano, di dare all'uomo la verità
e la felicità. Nessun filosofo « ci ha mai sorretto, aiutato, confortato »; nessuno ci ha dato il rimedio per « evitare l'insonnia, la miseria, la follia »
IL « MARCHESI» DI ANTONIO LA PENNA 639
(SM, ii, p. 669 s., in uno scritto del 1910: il passo, non breve, è tutto da leggere, e con ragione il La Penna, p. 35 s., ne sottolinea la centralità per capire Marchesi). Al pari della filosofia, la scienza « non potrà mai svelare l'arcano della vita » (Il poema di Lucrezio, Torino, « Quaderni ACI », [1950], p. 16). L'opera di Tacito « non teme fallimento: perché le idee cadono, solo il dubbio rimane » (Tacito, Messina 1924, p. 252; un po' diverso nell'espressione, ma non nel contenuto, in Tacitoz, 1942, p. 186); e nello stesso Tacito parlerà di « quella superstizione o finzione chiamata volgarmente la verità » (p. 295, cit. anche da La Penna, p. 68). Le citazioni — anche da scritti di varia lettera[...]

[...] intenzioni dell'autore.
Ma piú che alla storia politica e sociale (che, con insanabile contraddizione rispetto al suo socialismo, rappresenta per Marchesi sempre qualcosa di effimero e di angusto) l'arte dà il suggello della verità alla « natura umana », che è formata da individui, ciascuno diverso dall'altro, ma accomunati proprio dalla loro solitudine, finitezza, infelicità. Il rapporto tra arte e « natura umana » è (pur con oscillazioni che il La Penna nota a p. 35 e di cui indica felicemente la formulazione che piú sembra corrispondere alla prevalente convinzione di Marchesi) un po' diverso da quello tra arte ed eventi storici. La funzione, per cosi dire, caratterizzante e immortalante dell'arte rimane essenziale; tuttavia la « natura umana » non è una realtà disgregata e informe come la storia: è una realtà già ben concreta, che l'artista ha il compito di cogliere nei suoi tratti essenziali, non già di « creare ». L'umanità — di ciò Marchesi è profondamente convinto — ha « caratteri permanenti ». Il dolore, l'angoscia, il senso del mister[...]

[...]o dimostrare l'indimostrabile sugli ultimi istanti di vita di Marchesi; il Franceschini, non per quel meschino spirito di speculazione che ha indotto tanti clericali a inventare conversioni all'ultima ora, ma per una sofferta esigenza di sapere « salvato » il maestro e amico da lui amato con tanta dedizione, ha dato per dimostrata, in piena buona fede, una conversione che, da tutto ciò che sappiamo, non risulta documentabile 2. Ciò ritiene anche il La Penna (p. 52),
2 Va tuttavia notato che il libro di Franceschini non è « a senso unico »: vuol presentare come una certezza la conversione di Marchesi in punto di morte (dando a tutto il racconto dei suoi due ultimi giorni di vita un tono di « miracolo », anzi di intrecciarsi e susseguirsi di coincidenze miracolose, che non regge ad una riflessione pacata e obiettiva); ma nello stesso tempo è animato da una appassionata e dolorosa polemica contro le degenerazioni politicomorali del cattolicismo. Vale la pena di riportare la coraggiosa dedica: « A quei cattolici che con lo scandalo della loro vita [...]

[...]plicita (e anche esplicita) svalutazione della partecipazione alla vita pubblica con le sue ambizioni e le sue meschinità 3. I poeti augustei, mediocri quando si fanno esaltatori della romanità e del principato, sono grandi quando evadono da queste strettoie: nel saggio su Virgilio del 1930, in polemica con la retorica del bimillenario virgiliano, Marchesi dice: « In un'opera di poesia che voglia essere di celebrazione storica e nazionale ciò
3 Il LA PENNA (p. 75 s.) cita, dalla prima edizione della Storia, un paragone LucrezioVirgilio a favore di Virgilio. E replica: « No: sia per `vastità poetica' sia per intensità lirica Lucrezio non ha confronti nella letteratura latina: i poeti confrontabili bisogna cercarli fra i Greci o fra i moderni ». Ma quel paragone scompare nelle successive edizioni della Storia (non saprei precisare a partire da quale: certo nella quarta non c'è), e tutto ciò che Marchesi ha scritto su Lucrezio, dal saggio marzialiano del 1905 (SM, i, p. 189, cfr. LA PENNA, p. 31 s.) alla già citata conferenza del 1950, denota un'a[...]

[...]i Roma ha tolto appunto alla sua opera la grande impronta umana e vi ha lasciato la meno grande impronta romana ».
È questa « antiromanità » che ha permesso a Marchesi di sentire e valutare con simpatia profonda e acuta intelligenza la letteratura postaugustea. Non per nulla, prima della Storia, gli autori sui quali scrisse i profili e i saggi piú penetranti sono alcuni dei maggiori postaugustei, in cui i valori patriottici sono ormai dissolti. Il La Penna mette bene in rilievo come anche uno scrittore fortemente legato ai valori della romanità, Tacito, sia ammirato da Marchesi per ragioni che puntano sull'homo e non sul civis: l'aristocratico disprezzo per il volgo, ma soprattutto il pessimismo storico e morale (cap. x); e come anche in Giovenale il critico sia affascinato, piú che dal rimpianto moralistico per i valori dell'età repubblicana, dalla capacità d'indagare, con indignata ma lucida amarezza, aspetti torbidi della psicologia umana che appartengono ad « ogni tempo » (p. 35). E anche Seneca, l'autore prediletto da Marchesi, è da lui, f[...]

[...]a edizione (Messina, Principato, 1920) tale è l'identificazione del critico col suo autore, che la parte sulle opere viene ad essere costituita in misura preponderante da lunghissimi brani tradotti, quasiché non vi fosse pressoché nulla da aggiungere a ciò che Seneca disse (questa caratteristica si attenua nella seconda edizione, che reca il segno di un faticoso rifacimento, anche se il giudizio complessivo su Seneca non muta).
Quanto a Tacito, il La Penna ha, come si è visto, indicato le ragioni per cui questo patriota, imperialista, conservatore in politica interna ha tuttavia profondamente interessato Marchesi. Oserei dire che, per alcuni aspetti (soprattutto per l'acutezza di certi giudizi politici, cfr. La Penna, p. 65 s.), il Tacito è superiore al Seneca proprio perché l'identificazione fra il critico e il suo autore è meno immediata. Forse, però, Marchesi ha visto troppo poco in Tacito la coscienza (ad un livello piú profondo del livello « patriottico ») dell'iniquità dell'imperialismo romano e del suo avviarsi alla decadenza,, nonostant[...]

[...]i e i latini (e infatti citava anche i lirici greci): dunque insegnamento anche del greco nella scuola dell'obbligo? E infine è alquanto sforzato il ricorso a questa tesi da parte di un critico che, come si è detto, tranne eccezioni rarissime, citò sempre brani latini tradotti!
IL « MARCHESI » DI ANTONIO LA PENNA 649
uomo di Stato fu il fondatore dell'impero romano quale organismo politico universale »7. In confronto a Cesare, Augusto, osserva il La Penna (p. 76),
« non riscuote un'ammirazione neppure lontanamente paragonabile ». Ciò mi sembra vero soltanto in parte. Certo Marchesi non ha attribuito ad Augusto la genialità di Cesare, né lo poteva; ma non ha nemmeno accentuato, come altri studiosi, il contrasto fra la mediocrità dell'uno e la grandezza dell'altro. Anche ad Augusto è tributata una viva lode per quel punto che piú importa a Marchesi: « Con uguale risolutezza procede la politica unitaria provinciale che tende ad associare l'Italia alle provincie
e a costituire il grande impero romano al posto di quello Stato cittadino che vedeva[...]

[...]tico Augusto compiva, senza bisogno di Odi romane e di Carmi secolari, il suo compito di dissolutore dello « Stato cittadino », e in quanto tale preparava il terreno alla poesia puramente umana.
La difesa che Marchesi fa di Tiberio, la sua sia pur cauta rivalutazione di Domiziano (nel profilo di Marziale) si collocano su un altro piano: non come imperatori « forti » essi sono apprezzati da Marchesi, ma come uomini tristi, soli, incompresi (bene il La Penna, p. 68). Ma nell'introduzione al cap. vi della Storia (II', p. 323 s.: « Da Adriano a Diocleziano ») ritorna ancora una volta il nesso tra impero come assolutismo e impero come cosmopoli: « Il potere imperiale, ormai prossimo anche nella forma all'assolutismo monarchico, si faceva sempre piú personalmente sollecito della prosperità e del benessere di tutti i paesi soggetti, e i vinti dimenticavano la loro indipendenza di fronte ai benefici della pace e degli onori e senti
I1 giudizio su Cesare, tuttavia (caso raro in Marchesi, che fu di solito molto costante nei suoi amori e odi per artisti [...]

[...]ggior parte degli uomini, di meschinità ed egoismo, di sopraffazioni compiute
e di sopraffazioni sofferte. Nel Tacito (2a ed., p. 244), dopo una delle tante allusioni a quel passo di Agostino, aggiungeva a commento: « In verità la storia è il continuo e sempre rinnovato spettacolo del bene che non cessa di lottare e di soccombere e del male che non cessa di lottare e di prevalere » 9.
Nemmeno accosterei Marchesi — come, sia pure cautamente, fa il La Penna, p. 56, cfr. 36 — a un irrazionalismo vitalistico di tipo nietzschiano
o bergsoniano. Le ragioni le ho in parte già dette; aggiungerei che una cosa è la valutazione del « sapore immediato della vita » espresso dall'arte, quale Marchesi ritrovava nei suoi amati Petronio e Marziale, un'altra è il vitalismo affermatosi tra fine Ottocento e prime) Novecento. « Volontà di potenza », « slancio vitale » sono concetti e sentimenti estranei a chi sentiva tutta la propria vita dominata da « ansietà e sazietà », a chi diceva: « le cose, appena le tocco, mi diventano vecchie » (cfr. Franceschini, op. ci[...]

[...]lianisti e i medievalisti di fine Ottocento, non si dimentichi che nella produzione giovanile di Marchesi la filologia medievale e umanistica prevalgono, come quantità e anche come valore, sulla filologia classica, seguendo l'esempio di Remigio Sabbadini, anche lui, malgrado le cure date al testo di Virgilio, migliore studioso dell'umanesimo che della letteratura latina antica. Di questa produzione giovanile di Marchesi tratta in modo eccellente il La Penna nel cap. ir del suo saggio, e io non ho nulla da aggiungere; qualcosa, piú oltre, dirò del Marchesi filologo classico.
Con ciò non intendo certo sostenere che Marchesi abbia trascorso la maggior parte della sua vita intellettuale chiuso dentro una corazza tardopositivistica, insensibile ad ogni influsso del neoidealismo e dell'irrazionalismo novecentesco. La condanna del filologismo (quale appare specialmente nella prolusione del 1923, per poi attenuarsi), la preferenza per la critica letteraria monografica o per la storia come « collezione di monografie », erano aspetti della sua personalit[...]

[...]novecentesco. La condanna del filologismo (quale appare specialmente nella prolusione del 1923, per poi attenuarsi), la preferenza per la critica letteraria monografica o per la storia come « collezione di monografie », erano aspetti della sua personalità che — uso una felice espressione del La Penna, p. 78, a proposito della Storia della letteratura latina — « convergevano con una certa impostazione idealistica ». E infatti, come ricorda ancora il La Penna, la Storia fu lodata da Croce (cfr. Storia della storiografia italiana nel sec. XIX, ir, Bari 19473, p. 197) ed ebbe ottima accoglienza nella cultura italiana degli anni Trenta. Prima ancora, il Seneca era stato accolto da Gentile nella collana di « Studi filosofici » da lui diretta presso Principato, ed era stato recensito assai favorevolmente da Adolfo Omodeo (Tradizioni morali e disciplina storica, Bari, Laterza, 1929, pp. 107117). A sua volta, Marchesi, pur non desistendo mai dalle sue puntate contro la filosofia « incapace di consolare », non s'impegnò mai in polemiche esplicite contro l[...]

[...]. In quegli intellettuali a cui lo abbiamo accostato (Rapisardi, Graf, Pascoli) il « positivismo bisognoso di religione » si collega con una morale della fraternità, che sfocia in un socialismo umanitario, oscillante tra la rivolta anarchica e il solidarismo cristianomassonico, privo di ogni rigorosa base marxista. Che di questo tipo sia stato il socialismo iniziale di Marchesi, si comprende bene dalla lucida sintesi che nel cap. i del suo libro il La Penna ricava dai documenti a nostra disposizione (io ho soltanto dei dubbi su un presunto legame tra il socialismo di Marchesi e l'esaltazione, che in lui riaffiorò poi sempre, del libero amore e il suo senso di fastidio per l'amore coniugale: il libero amore come lo concepisce Marchesi è troppo collegato al disprezzo per la donna, vagheggiata solo come oggetto di fugace piacere, come etèra: una Anna Kuliscioff, una Anna Maria Mozzoni non sarebbero piaciute affatto a Marchesi) .
Con l'umanitarismo e con un pessimismo di fondo coesisteva, in molti di codesti intellettuali, una convinzione nella « f[...]

[...]interessante (benché non
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facile) studiare il Marchesi socialista dagli inizi del nostro secolo fino alla fondazione del Partito comunista; è questo il periodo del Marchesi politico su cui meno sappiamo.
8. Il critico testuale. — Un ultimo punto sul quale, sempre seguendo e postillando il libro di La Penna, vorremmo dire qualcosa è l'attività di Marchesi come filologo classico, e più precisamente come critico testuale. Il La Penna (cap. III) valuta, in complesso, severamente le edizioni critiche o semicritiche (chiamo cosi i commenti scolastici muniti di piú o meno sporadici contributi criticotestuali: un genere ibrido, ma nel quale dettero alcune buone prove il Terzaghi, il Galante ed altri) dell'Orator di Cicerone, del Tieste di Seneca, del De magia di Apuleio, dell'Ars amatoria di Ovidio; .considera con maggiore benevolenza alcune ricerche su codici di autori antichi (molte di piú, e piú fruttuose, il Marchesi ne compi su codici di autori medievali e umanistici) e in particolare mette in risalto il valore degli stud[...]

[...]; .considera con maggiore benevolenza alcune ricerche su codici di autori antichi (molte di piú, e piú fruttuose, il Marchesi ne compi su codici di autori medievali e umanistici) e in particolare mette in risalto il valore degli studi sugli scolii a Persio (SM, II, pp. 907983); sottolinea che un progresso criticotestuale assai notevole fu compiuto dal Marchesi con l'edizione di Arnobio (Torino 1934, 19532). Tuttavia anche riguardo a quest'ultima il La Penna ammonisce che « va lodata con misura », e vi ravvisa il difetto di tutta la critica testuale marchesiana, l'indirizzo troppo conservativo, di cui fornisce (a p. 30 e in un'appendice a pp. 101103) parecchi esempi, discutendo intelligentemente vari passi e proponendo anche qualche suo contributo persuasivo.
Sia la valutazione generale di Marchesi filologo, sia le discussioni lapenniane di singoli passi sono in massima parte giuste. E rimane ovvio che per la sua indole stessa di criticoartista, per la sua polemica contro il « filologismo » che assieme al filologismo tendeva a svalutare la filol[...]

[...]ichter a favore di A (e qui, già prima del Carlsson, egli vedeva giusto), ma senza smarrire la consapevolezza della superiorità di E. Volendo, comunque, dare un contributo alla conoscenza di alcuni codici A piú o meno contaminati, egli dette una sommaria notizia dei manoscritti fiorentini, soffermandosi con particolare predilezione sul Riccardiano 526 (sec. xiii: cfr. pp. 29, 3337). A proposito delle lodi che il Marchesi tributa a questo codice, il La Penna fa un'osservazione che, del tutto giusta in moltissimi casi, non mi sembra giusta nel caso specifico: « Una curiosa trappola riservata ai conservatori in critica del testo è nel sostenere lezioni manoscritte solo perché manoscritte, anche quando sono frutto di emendamenti di copisti dimostrabili in base alla storia del testo ». Ora, il Marchesi (p. 29) non loda il Riccardiano in quanto trasmettitore di lezioni risalenti all'archetipo o comunque a un ramo di tradizione genuina: loda il co pi s t a del Riccardiano in quanto assennato editore medievale, che, attenendosi fondamentalmente ad A ma [...]

[...]ezione prescelta dal Marchesi è oggi accolta (cfr. anche i « fartasse recte » del Giardina a 180 e 322). In alcuni casi si tratta di scelte a favore di A, nelle quali il Marchesi precorse il Carlsson o altri studiosi, in uno di scelta a favore di E (v. 26: qui il Leo e il Richter avevano preferito ne di A, e ciò dimostra che Marchesi non aveva pregiudizi uniláterali contro l'Etrusco), in molti altri di conservazione della lezione di tutti i mss. Il La Penna, mentre enumera (p. 27) alcuni passi in cui il Marchesi ha sicuramente o probabilmente torto, non fa cenno (tranne che per il v. 302) dei casi, tutto sommato piú numerosi, in cui ha ragione contro Lea e Richter (talvolta la lezione giusta era stata già prescelta da vecchi filologi; ma è pur sempre un merito del Marchesi l'averla rivalutata contro le edizioni allora piú recenti e accreditate). Al v. 715 tantum scelus di A (preferito dal Marchesi contro saevum scelus di E e degli editori) non è sicuro, tuttavia ha, nella sua indeterminatezza, maggior forza enfatica, e l'ipotesi del Marchesi sul[...]

[...]ine delle parole di E sia piú consono allo stile di Seneca; eppure il confronto addotto da Marchesi con l'ordine delle parole nel modello virgiliano non è privo di finezza, e la lezione che egli preferisce non è tramandata dal solo Riccardiano, ma dall'intera classe A.
Questa mia difesa dell'edizione del Tieste va considerata, intendiamoci, come una difesa ben delimitata: i grossi difetti a cui già abbiamo accennato restano, e l'edizione rimane il lavoro di uno studioso non privo di qualità anche in critica testuale, ma immaturo.
Diverso è il caso dell'edizione di Arnobio. Su essa il La Penna si sofferma ampiamente, mostrandosi ottimo conoscitore del testo arnobiano e aggiungendo alle osservazioni sull'edizione di Marchesi propri contributi originali (pp. 29 s., 101103; altri contributi originali il La Penna pubblicherà prossimamente). Egli nota con ragione che,nell'Arnobio « la tendenza conservatrice », che aveva pesato negativamente sulle vecchie edizioni curate da Marchesi, « non è affatto generale e molto raramente è acritica »; aggiunge che « l'editore avanza anche congetture nuove, in parte felici » (p. 29).
Quali le spinte che possono aver contribuito a questa cosí notevole e quasi sorprendente maturazione? (Sorprendente anche se si pensa che quando compí la prima edizione di Arnobio, 1934, Marchesi aveva già cinquantasei anni, un'età in cui l'acume filologico, se non si è già rivelato, d[...]

[...]rprendente maturazione? (Sorprendente anche se si pensa che quando compí la prima edizione di Arnobio, 1934, Marchesi aveva già cinquantasei anni, un'età in cui l'acume filologico, se non si è già rivelato, difficilmente fa la sua comparsa; e nella seconda edizione del 1953, a settantacinque anni e nel pieno di un'attività intensa di tutt'altro genere, fu ancora capace di arrecare al suo lavoro numerosi miglioramenti). Una delle ragioni, suppone il La Penna, può essere ravvisata nell'influsso di un critico testuale anticonservatore, amico di Marchesi e direttore del « Corpus Paravianum » in cui l'edizione del Marchesi apparve: Luigi Castiglioni. Le congetture che il Castiglioni comunicò privatamente al Marchesi, e che questi menzionò nell'apparato critico, non erano, dice il La Penna, « molto felici »: ma la tendenza anticonservatrice dell'amico « può aver contribuito a salvare Marchesi dalla superstizione » (p. 30). Non mi sento di escludere questa ipotesi; ma confesso che ci credo poco. Le decine e decine di congetture del Castiglioni, tranne forse una o due, erano, diciamo la verità, del tutto inutili, normalizzatrici a sproposito; il Castiglioni, congetturatore spesso troppo analogista come il suo maestro Vitelli, ma quasi sempre ottimo conoscitore dell'usus scribendi degli autori da lui presi in esame, non si era minimamente curato di studiare a fondo la lingua e lo [...]

[...]tà, e parecchie ne omise nella seconda edizione (citandone, in cambio, poche altre, a dire il vero non migliori). Queste mie parole non suonino offesa né sottovalutazione nei riguardi di Castiglioni, uno dei piú acuti e rigorosi filologi del nostro secolo, certamente superiore a Marchesi come crítico testuale: ma non come critico testuale arnobiano.
666 SEBASTIANO TIMPANARO
Di un altro impulso, secondo me molto piú valido, ricevuto da Marchesi il La Penna fa menzione: « i grandi progressi fatti nella conoscenza del latino tardo soprattutto grazie al Löfstedt, che proprio ad Arnobio aveva dedicato cure particolari ». Ora, il Löfstedt fu, come è noto (non solo nei suoi studi dedicati ad autori o a fenomeni linguistici singoli, ma nella grande opera Syntactica), un critico testuale conservatore, che molto imparò dal Vahlen e dal Wölfin e formò in Svezia una scuola di alto livello. C'è stato, nell'Ottocento e in buona parte del Novecento, un conservatorismo criticotestuale « all'italiana », che in gran parte era rinuncia a interpretare il testo, t[...]

[...]ica letteraria, ma nella tecnica filologica sí) il provincialismo. E non si limitò a far tesoro dei contributi altrui: notò egli per primo molte particolarità, inconcinnità sintattiche, stranezze individuali del latino di Arnobio (ricordo un solo esempio fra i tanti: l'uso di homo = corpus contrapposto all'anima, cfr. p. 51, 1 della 2a ed., e aggiungi ai passi citati dal Marchesi p. 58, 17 s.). Alcuni casi di conservatorismo eccessivo vi sono, e il La Penna ha quasi sempre ragione nel notarli (quasi sempre: io credo ancora, e tornerò eventualmente a discuterne altrove, che a pp. 3, 17; 26, 2527, 1; 399, 4 la lezione tramandata sia giusta). Ma sarebbe stato opportuno dare anche, qualche esempio di congetture felici (ne segnalo qualcuna: p. 35, 2 neque omni alioquin qui; 44, 24 et iudicationis; 88, 20 at; 90, 18 sermonis alicuius usus, forse meglio usum; 131, 1 nullo set; 152, 6 in nos; 181, 20 obscuritatibus submersa caliginis; 370, 7 factitant; mi fermo solo per esigenze di spazio, ma potrei citarne parecchie altre; l'indipendenza di giudizio de[...]

[...]rchesi di La Penna (mettendo a dura prova la pazienza dell'eventuale lettore), non mi soffermo sul piú breve saggio su Tommaso Fiore interprete di Virgilio (pp. 107131), non è perché non lo consideri degno del precedente, ma soltanto perché lo spazio ormai manca e perché in questo caso non avrei da esprimere osservazioni o aggiunte, ma soltanto consensi. Dirò solo che questo scritto, pur nella sua concisione, dà piú di quanto il titolo prometta: il La Penna non parla soltanto del saggio di Fiore su Virgilio, ma anche di quelli su SainteBeuve e su Tommaso Moro, e delle dispense di un suo corso universitario su Ovidio. Su Virgilio e su SainteBeuve le pagine del La Penna sono preziose anche per l'interpretazione diretta di questi autoli, non soltanto per comprendere e valutare il giudizio che ne dette Tommaso Fiore (del quale, d'altronde, il La Penna traccia di scorcio una caratterizzazione viva e convincente, di crociano forse troppo ortodosso, ma ricco anche di fermenti moralistici e antigiustificazionistici che fuoriescono dal crocianesimo). Convinto come sono da tempo che il concetto di « intellettuale organico », già non immune da forti pericoli in Gramsci stesso, è divenuto fuorviante da quando lo si è esteso ad ambiti e a problemi diversi da quelli in funzione dei quali Gramsci lo aveva ideato, ho letto con particolare gioia queste parole (p. 113 s.):
Anche nell'interpretare Virgilio forse egli [Fiore] guardava a quella catena di [...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Il LA PENNA, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---ACI <---Adolfo Omodeo <---Agiografia <---Alessandro D'Ancona <---Althusser <---Ambrogio Donini <---Amministrazione <---Anna Kuliscioff <---Anna Maria Mozzoni <---Antonio La Penna <---Apologetico <---Apuleio <---Archivio <---Arnobio <---Arturo Graf <---Attilio Momigliano <---Auferre <---August Reifferscheid <---Avendo <---Belfagor <---Belles Lettres <---Bellum Catilinae di Sallu <---Bergson <---Bertacchi <---Boys-Reymond <---Calcago <---Carataco <---Carlo Pascal <---Carlsson <---Carmelina Naselli <---Carmi <---Castiglioni <---Certo Marchesi <---Chiesa <---Ciò <---Concetto Marchesi <---Corpus Paravianum <---Crispi <---D'Ancona <---Da Adriano <---Dante Nardo <---Das Ubersetzen <---De Sanctis <---Dei <---Della Magia <---Di Cesare <---Difugere <---Dio <---Diritto <---Discipline <---Discipline umanistiche <---Dogmatica <---Dousa <---Dove La Penna <---Editori Riuniti <---Eduard Fraenkel <---Ein <---Elvio Cinna <---Emil Du Boys <---Epicuro <---Estetica <---Etica <---Eugenio Donadoni 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